KETOS/N.8/GIUGNO 2019

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K ETOS

N. 8/ Giugno 2019

JDC MAGAZINE

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GLI OCEANI


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In questo numero SCIENZA

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KEYSTONE SPECIES Il ruolo fondamentale dei predatori

NATURA

12 CURIOSITÀ

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COME E’ PROFONDO IL MARE I reef a coralli bianchi

FOCHE & OTARIE Cugini diversi

RUBRICA

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10 COSE DA SAPERE SU… Gli oceani

JDC NEWS

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WONDER-FULL Lungo le coste italiane

La JDC ad un appuntamento imperdibile

SPAZIO APERTO

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LA POSTA DEI LETTORI FOTO RACCONTACI


A cura di: Carmelo Fanizza Presidente e Fondatore JDC

Vittorio Pollazzon Responsabile Team e Autore Stefano Bellomo Responsabile Team e Autore Francesca C. Santacesaria Redattore e Autore Aldo Rizzo Autore Pasquale Bondanese Autore Roberto Crugliano Autore Alessandro Console

Grafico Elena Montrasio Editor

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KEYSTONE SPECIES

Il ruolo fondamentale dei predatori negli ecosistemi Da una parte squali, lupi, leoni e orche terrorizzano l’uomo; dall’altra delfini, lontre, volpi e cani lo intenerisco. Questi animali hanno però qualcosa in comune: sono tutti predatori. E allora perché demonizziamo e vogliamo uccidere gli uni e coccolare gli altri?

In quanto predatori svolgono tutti un ruolo fondamentale negli ecosistemi del Pianeta e per questo vanno tutelati e protetti. Attraverso effetti diretti ed indiretti i grandi predatori svolgono una funzione cruciale per il mantenimento del buon stato di salute degli habitat terrestri e marini, garantendo così la produzione di tutte le risorse e tutti i servizi che l’uomo utilizza: cibo, ossigeno, riciclo dell’acqua, regolazione del clima e tanto altro. In ecologia, sono definiti keystone species, ovvero specie chiave. Così 6

come in un arco vi è un “punto chiave”, il cui dissesto porterebbe alla rottura dell’intera struttura, così la scomparsa di specie chiave avrebbe ripercussioni pesanti e gravi su tutto l’ecosistema. Attraverso un “controllo top-down”, ovvero dal vertice sino alla base dell’ecosistema, viene spiegato l’effetto che i predatori hanno sull’ambiente. Predatori e prede sono strettamente collegate tra loro negli ecosistemi perché sono parte della catena alimentare. Una delle scoperte più salienti dell’ecologia degli ultimi decenni, infatti, è legata ai collegamenti tra livelli trofici, ovvero, tra un anello e l’altro della catena alimentare. Così come una cascata fluisce dall’alto verso il basso, i grandi predatori hanno effetti a cascata, definiti appunto “cascate trofiche”, negli ecosistemi in cui essi sono al vertice.


SCIENZA Ecco due storie che vi faranno capire l’importanza dei predatori negli ecosistemi. Un animale di terra e uno di mare: il lupo e la balena. Specie in via di estinzione a causa dell’uomo ma che sono estremamente fondamentali per la sopravvivenza degli habitat in cui essi vivono, fondamentali per le risorse ed i servizi ecosistemi che questi habitat producono per l’uomo.

Lupi e balene. Specie fondamentali per la sopravvivenza degli esseri umani sul Pianeta. L’unico Pianeta che abbiamo e che dobbiamo imparare a rispettare vivendo entro limiti sostenibili al più presto.

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Il caso del lupo cattivo I lupi sono temuti e demonizzati in molte fiabe e leggende, in tutto il mondo. Spesso sono stati cacciati sino all’estinzione ed anche nel nostro Paese, la gestione di questa specie è molto complessa e continuano ad essere uccisi dagli allevatori o investiti sulle sempre più diffuse strade che attraversano i nostri parchi. Ignoranza e timore hanno spesso la meglio su questi animali meravigliosi. È vero, i lupi sono predatori e uccidono svariate specie di animali ma forse non tutti sappiamo che danno vita a molte altre. No. Non è uno scherzo e la conferma arriva dall’America ed in particolare dal Parco di Yellowstone dove nel 1995 i lupi sono stati reintrodotti. Prima che i lupi arrivassero, erano stati assenti per 70 anni. Il numero di cervi, per la mancanza di predatori, era cresciuto sempre più e malgrado gli sforzi dell’uomo per controllarli erano stati in grado, pascolando, di ridurre molta vegetazione.

Quando i lupi arrivarono, se pur in pochi, cominciarono ad avere effetti inaspettati. Per prima cosa uccisero alcuni cervi. Questo cambiò radicalmente il comportamento dei cervi stessi che iniziarono ad evitare alcune zone del parco, cioè quelle dove potevano essere predati più facilmente, in particolare le valli e le gole e, immediatamente, queste zone iniziarono a rigenerarsi. 8

In alcune aree l’altezza degli alberi aumentò vertiginosamente in appena sei anni. I versanti spogli delle valli si arricchirono velocemente di specie arboree come pioppi e salici e, appena ciò accadde, mote specie di uccelli iniziarono a popolare queste aree.

Aumentò anche il numero di castori, importanti ingegneri degli ecosistemi, che grazie alla creazione delle dighe, crearono habitat per altre specie come lontre, topi muschiati, rettili, pesci e anfibi. I lupi uccidevano i coyote e, come conseguenza, il numero di conigli e topi iniziò a salire il che significò più falchi, volpi, donnole e tassi. Corvi e aquile dalla testa bianca si nutrivano delle carogne lasciate dai lupi ed anche gli orsi se ne nutrivano. Così il numerò di orsi iniziò a crescere e poterono cibarsi anche delle bacche che crescevano sugli arbusti. Non è tutto. Il ritorno dei lupi ha causato effetti anche sulla geofisica dell’area influenzando il corso dei fiumi. I corsi d’acqua cominciarono a formare meno meandri. I loro canali si strinsero, si formarono più bacini e più zone con fondo basso, formando habitat ideali per gli animali selvatici.

Grazie alla presenza dei lupi la foresta si rigenerava andando a stabilizzare le rive che franavano meno spesso ed i fiumi divennero più stabili nel loro corso e ci fu meno erosione del suolo.


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Attenzione ai giganti del mare I giganti del mare, le grandi balene, non godano di una fama negativa come i lupi ma per decenni ed ancora oggi sono stati cacciati in modo eccessivo e, le loro popolazioni, subiscono ancora oggi gli effetti di questa caccia sconsiderata. Le balene misticeti mangiano pesci e krill e chi appoggia la loro caccia ritiene che uccidere le balene sia positivo per gli esseri umani perché aumenterebbe la quantità di pesce disponibile per l’uomo. La realtà è ben diversa in quanto se il numero delle grandi balene diminuisse, anche il numero di pesci e di krill diminuirebbe. Questo concetto sembra contradittorio: il numero di prede dovrebbe aumentare se i loro principali predatori diminuissero.

In realtà, l’effetto delle balene sulle loro prede non è solo di cibarsene ma è anche quello di permetterne l’esistenza stessa e, così, sostenere l’esistenza dell’intero sistema vivente degli oceani. Le balene si cibano ad una profondità dove la luce è scarsa e, successivamente, ritornano in superficie, nella cosiddetta zona fotica, dove vi è abbastanza luce perché avvenga la fotosintesi. Qui, rilasciano grandi quantità di feci, le quali, sono molto ricche di ferro ed azoto, nutrienti che sono solitamente molto scarsi in ambiente marino superficiale e, proprio questi

nutrienti, fertilizzano il fitoplancton che è presente proprio nella zona fotica. Più fitoplancton (ovvero plancton vegetale) significa più zooplancton (ovvero plancton animale), prede di svariate specie marine e delle grandi creature del mare, come le balene stesse. Quindi, più balene, significa più pesci e krill. Non è tutto. Il fitoplancton non solo è nutrimento essenziale alla base della catena alimentare ma assorbe anidride carbonica, nel processo di fotosintesi, dall’atmosfera e, qualora queste masse di fitoplancton si inabissassero, tratterebbero queste quantità di anidride carbonica nelle profondità per millenni. Quindi, più balene, più fitoplancton e maggior rimozione di anidride carbonica dall’atmosfera. Quando le popolazioni di balene non erano ancora state decimate dall’uomo, è stato calcolato che l’anidride carbonica sottratta dall’atmosfera era pari a diverse decine di tonnellate ogni anno.

Così, le balene, hanno un importante ruolo nei cambiamenti del clima. Il ritorno delle grandi balene, grazie alla loro funzione di bioingegneri degli ecosistemi, avrebbe effetti molto positivi negli oceani, mitigando parzialmente gli effetti negativi dell’uomo verso gli oceani stessi ed anche verso l’atmosfera.

Stefano Bellomo 11


Come è profondo il mare… I reef a coralli bianchi Oltre la metà delle 5200 specie di coralli conosciute dalla comunità scientifica crescono a centinaia se non migliaia di metri sotto la superficie dell’acqua, dove le temperature oscillano tra i 4°C e i 12 °C e dove vi è assenza di luce. In questi ambienti estremi, i coralli delle acque profonde sono capaci di dare origine a dei veri e propri reef.

Originando delle complesse “biocostruizioni” forniscono habitat per le altre specie che trovano in queste strutture rifugio e nutrimento. A differenza dei coralli tropicali, caratterizzati dalla presenza delle zooxantelle, i coralli d’acqua fredda non hanno un’alga simbiotica che vive al loro interno e per questo non hanno bisogno della luce del sole per sopravvivere. Certo crescono più lentamente, ma riescono comunque a dar vita a delle vere oasi in un ambiente normalmente abbastanza ostile. I coralli 12.

bianchi sono predatori: si cibano esclusivamente catturando, con i tentacoli dei loro polipi, particelle di cibo presenti nell’acque e trasportate dalle correnti.

ECOLOGIA. "Stiamo trovando non solo nuove specie di coralli ma anche organismi associati, come lumache e vongole, che i paleontologi credevano estinti da due milioni di anni" Così ha commentato il professor Andre Freiwald dell'Università di


NATURA I meravigliosi reef tropicali, visibili a basse profondità , sembrano dipinti dall’abile mano della biodiversità che rende questi ambienti una tavolozza di colori di cui fanno parte squali, pesci, cro-

stacei, nudibranchi e altre creature. E a sorprendere ancora di più la scoperta di barriere coralline nelle profondità degli oceani!

Erlangen-Norimberga in Germania, nel rapporto “Out Of Sight - No Longer Out Of Mind” pubblicato nel Programma Ambientale delle Nazioni Unite durante lo studio delle barriere coralline di acqua fredde sub-antartiche e della Groenlandia. La capacità di questi organismi di dare origine a vere e proprie “città sottomarine” è ormai nota da tempo per i coralli di acque tropicali, che ospitano una folta comunità di specie animali e

vegetali. Trovare complesse biocostruzioni a grandi profondità è stata l’ennesima conferma che gli abissi sono tutt’altro che un deserto senza vita.

L'importanza ecologica di tali ecosistemi è da ricercarsi nella elevata biodiversità che queste formazioni sono in grado di sostenere. Secondo i più recenti studi questi 13


Reef “Røstrevet”-Norvegia

LA LORO DISTRIBUZIONE I reef di coralli di acque fredde si sviluppano fra i 40 e i 7000 metri di profondità, distribuiti su irregolarità topografiche, lungo le pareti scoscese come quelle di canyon, montagne, e vulcani sottomarini. Necessitano di fondi duri per insediarsi e crescere. Sono distribuiti in quasi tutti gli oceani del mondo. Uno dei luoghi che

ambienti ospitano più di 2000 specie

ospita la più grande comunità di coralli bianchi si trova nelle acque dell’Atlantico Settentrionale. Come spiega Chris Yesson, ricercatore della Zoological Society London: “Quel che fa la differenza nel nord-Atlantico è la sua particolare geografia sommersa che, da un lato presenta pareti con l'inclinazione giusta affinché i coralli vi si stabiliscano, dall'altro presenta correnti

I CORALLI DELLA NORVEGIA.

sottomarine che ne garantiscono il sostentamento” Infatti, i coralli bianchi si insediano nelle porzioni superiori delle irregolarità topografiche proprio per essere più esposti alle correnti, ricevere un flusso di particelle maggiore e catturare le prede. 14

diverse. Rappresentano, inoltre, aree di nursery per diverse specie di pesci che depositano le loro uova sui coralli e favoriscono l’insediamento di larve di molte specie marine. Le barriere coralline norvegesi sono scogliere che si trovano a una profondità compresa tra i 200 e i 400 metri, con temperature comprese tra i 4 e 9°C e disposte lungo i pendii continentali. All’interno del reef sono state osservate circa 17 specie diverse di coralli ma la specie predominante è Lophelia pertusa. Questa specie forma il reef più grande conosciuto al mondo. A largo dell’isola Lofoten, in Norvegia settentrionale, ad una profondità di circa 300 -400m, il reef, chiamato “Røstrevet”,


NATURA

Reef a largo di Cape DesolationGroenlandia, Mare di Labrador.

si estende per 3 km di larghezza e 35

Il reef si trova a più di 900 metri di

km di lunghezza. Secondo i ricercatori questi coralli hanno un’età di circa 8.700 anni. Helle Jørgensbye, ricercatrice della Technical University (Danimarca), racconta: “I reef dei coralli norvegesi crescono anche di 30m in altezza e si estendono per diversi chilometri in lunghezza. Probabilmente si sono sviluppati dopo la scomparsa dei ghiacciai al termine dell'ultima era glaciale”

profondità.

I CORALLI DELLA GROENLANDIA. Circa una decina di anni fa una nave canadese che stava effettuando alcune analisi dell'acqua marina ha individuato in maniera del tutto fortuita un reef di Lophelia pertusa al largo della costa sudovest della Groenlandia, nel Mare di Labrador.

“Il reef al largo della Groenlandia è probabilmente più piccolo rispetto a quello norvegese e non sappiamo ancora quanto sia vecchio” spiega Helle Jørgensbye “La formazione dei coralli sarebbe da collegare all'influsso della Corrente del Golfo, che raggiunge la costa ovest della Groenlandia mitigando le temperature anche di 4 °C. Quanto basta per garantire la sopravvivenza di questi coralli d'acqua fredda”

I CORALLI DEL MEDITERRANEO. Era il 2005 quando, con l’ausilio di un R.O.V., un robot subacqueo atto all’esplorazione profonda, i ricercatori del dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, guidati dall’ecologo Angelo Tursi, hanno osservato nei monitor 15


un reef di coralli bianchi a circa 730 metri di profondità a largo di Santa Maria di Leuca, in Puglia. . Le specie che lo costituiscono sono Lophelia pertusa e Madrepora oculata, due esacoralli vivono in acque e si sviluppano in assenza di luce. La conformazione del fondale, caratterizzata dalla presenza di un canyon sottomarino, permette la formazione di correnti d’acqua fredda, ricca di ossigeno e sostanze organiche in sospensione denominate “biological snow”. Queste rappresentano le condizioni ideali per lo sviluppo dei reef a coralli bianchi. “La scoperta è avvenuta per caso durante una campagna per il monitoraggio delle risorse marine” spiega Angelo Tursi “Le reti a strascico si sono impigliate al fondale e non riuscivamo a liberarle

Lophelia pertusa Madrepora oculata

“Dopo molti tentativi siamo riusciti a strapparle e tra le maglie abbiamo trovato i coralli bianchi. Non se ne conosceva l’esistenza in questa zona, ma il dato più interessante è che non si trattava si scheletri fossili, bensì di animali vivi” Spiega ancora il professor Tursi “I coralli bianchi rappresentano un paradiso per la biodiversità. Tali formazioni rappresentano specie “polmone” su fondali fangosi che altrimenti sarebbero desolati e privi di vita” Grazie alla scoperta dei ricercatori del dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, è stata di recente istituita una nuova forma di riserva marina definita “deep-sea fisheries restricted area” all’interno della quale è vietata la pesca a strascico per la salvaguardia di questi habitat. LA JDC PER LA TUTELA DEI CORALLI BIANCHI IN MEDITERRANEO. Nel mese di febbraio di quest’anno la JDC ha collaborato al progetto dell’Università di Bari che prevede la ricerca, lo studio, e la tutela dei coralli bianchi in Mediterraneo. Una prima fase, svolta a bordo della nostra imbarcazione da ricerca “Il porto di Taranto” ha previsto lo studio dell’area mediante transetti stabiliti sulla base di segnalazione da parte dei pescatori, a largo di Gallipoli (Le). La ricerca è stata svolta per mezzo del R.O.V. “Multipluto”. Una seconda fase del progetto è avvenuta in questi giorni. Il sito indagato sono state le acque a largo di Tricase, situato nel Capo di Leuca. A giorni avremo i risultati delle ricerche.

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NATURA

1. Il R.O.V. nella fase di preparazione.

2. Messa a mare del R.O.V.

LE MINACCE

3. Immagini del fondale a 800m di profondità.

CONCLUSIONI. La tutela e la salvaguardia del mare e delle sue risorse non si limita alla protezione di specie carismatiche come i cetacei, ma anche di ecosistemi marini la cui distribuzione è ancora poco conosciuta. La collaborazione con Università ed enti di ricerca diventa fondamentale per perseguire l’obiettivo della JDC di aumentare la conoscenza dell’ambiente per poterlo tutelare. Proteggere queste aree non significa mettere un freno al progresso, ma contribuire attivamente al mantenimento di un equilibrio di cui beneficiamo soprattutto noi.

Le barriere coralline subiscono notevoli danni dovuti soprattutto alla pesca a strascico. Queste aree rappresentano oasi di biodiversità in cui un gran numero di specie trova nutrimento e protezione ed è per questo che garantiscono ai pescatori un ricco pescato. Klaus Toepfer, direttore esecutivo di “United Nations Environment Programme”, ha dichiarato: "Probabilmente la più grande minaccia per i coralli freddi e caldi è data da una pesca non sostenibile. È nostro dovere non solo gestire meglio le attività di pesca in acque profonde, ma tutte le attività di pesca, affinché ci sia meno pressione sulle zone profonde e superficiali dei mari".

Ipericoli per queste oasi di biodiversità non sono limitati soltanto alle attività di pesca a strascico, ma comprendono anche attività quali la posa di cavi sottomarini, l’esplorazione per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi, lo smaltimento di rifiuti.

Roberto Crugliano 17


Foche&Otarie cugini diversi In pochi sanno che fino a cent’ anni fa, le acque del Golfo di Taranto erano popolate da stupendi animali, dal corpo allungato, irregolarmente cilindrico e dalla livrea bruna che ricorda la tonaca di un monaco. Numerosi erano, infatti, gli esemplari di foca monaca del Mediterraneo (Monachus monachus) che trovavano rifugio sulle coste rocciose del nostro mare. Oggigiorno viene considerato uno dei mammiferi a maggior rischio di estinzione al mondo: la sua popolazione si è ormai ridotta a pochi individui a causa della caccia, dell’inquinamento, della concorrenza con i pescatori per le risorse ittiche e della riduzione dei loro habitat ideali per l’accoppiamento e la riproduzione.

Quattrocento è il numero di esemplari maturi tuttora esistenti che vivono per lo più in grotte e cale deserte situate tra Grecia e Turchia cercando luoghi adatti dove vivere e riprodursi.

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Lungo le coste pugliesi e lucane, dal 1900 gli avvistamenti sono diventati sempre più sporadici e di animali

isolati. Camminando sulle spiagge del mediterraneo potreste avere la fortuna di incontrarli ma attenzione a non confonderli con i loro “cugini” più esotici: le Otarie, anche chiamate Leoni marini. Oggi vi spiegheremo come riconoscerli e come distinguere queste due specie.


CURIOSITÀ

Cosi simili… La confusione tra foca e otaria viene fatta perché effettivamente presentano grandi somiglianze: sono entrambe Pinnipedi (da pinna e pedis che significa “piedi a foggia di ala”), mammiferi semi-acquatici così chiamati perché le loro zampe si sono evolute in una sorta di pinna. Entrambe possiedono dei lunghi e robusti baffi chiamati vibrisse che hanno la particolarità di essere molto sensibili e consentono a questi animali di comprendere le misure delle prede che incontrano in acque torbide, in condizioni di scarsa visibilità; entrambe cacciano e si cibano di pesci e cefalopodi e usano i denti per afferrare la preda e infine ingoiarla senza masticarla. Infine, entrambe le specie possiedono una piccola coda poco visibile e presentano unghie su ogni falange delle pinne posteriori che usano per grattarsi.

Cosi diversi… La livrea. La prima differenza riguarda il pelo: le foche hanno un corpo allungato rivestito da uno spesso strato adiposo e ricoperto da fitto pelo corto che è impermeabile all’acqua e che a seconda della specie può variare da grigio chiaro a marrone scuro. I leoni marini, anch’essi dotati di strato adiposo, hanno un pelo molto folto di colore grigio-marrone: sono chiamati “leoni” perché il maschio adulto presenta una spessa criniera attorno al suo collo che, una volta asciutta, ricorda quella di un leone della savana. Le orecchie. Le foche possiedono un piccolo foro su entrambi i lati della testa che è molto difficile da vedere da 19


lontano in quanto non hanno un padiglione auricolare esterno. Questo permette all’animale di avere una maggiore idrodinamicità durante il nuoto e la caccia. Le otarie, invece, presentano due padiglioni auricolari esterni che si chiudono durante l’immersione ed al suo interno hanno dei tappi di cera (wax plugs) che consentono all’animale di recepire suoni e rumori lasciando all’esterno l’acqua marina. Il loro nome infatti deriva dal greco otarion che significa “piccole orecchie”.

in grado di ruotare; esse permettono alla foca di compiere solo movimenti limitati sulla terra ma di muoversi con facilità in acqua.

Le pinne. Le foche hanno delle pinne anteriori corte e tozze: la conformazione del bacino e degli arti le impediscono di sollevare il ventre dal suolo e per questo motivo sono costrette a muoversi strisciando sulla propria pancia quando si trovano sulla terraferma. Le pinne posteriori, inoltre, sono rivolte all’indietro e non sono

molto forti e soffi che assomigliano lontanamente a degli ululati. Il leone marino emette un tipico ruggito per comunicare, per attirare l’attenzione del branco e per proteggere il proprio territorio.

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I leoni marini hanno ampie e grandi pinne anteriori: grazie a queste ultime e al loro petto muscoloso, possono camminare e porre su di esse tutto il loro peso mentre, in acqua, le usano per dare propulsione e velocità al nuoto. Le pinne posteriori ruotano consentendo all’otaria un gran movimento. Produzione di suoni. Le foche sono in grado di emettere suoni simili a latrati

Vita di gruppo e habitat. Le foche conducono una vita piuttosto solitaria;


CURIOSITÀ

animali molto gregari che vivono in gruppi che possono raggiungere anche i 1500 individui. Inoltre, la maggior parte delle foche vive lungo le coste dei mari ghiacciati, freddi e temperati e solo poche specie vivono nei mari caldi o nei mari intercontinentali come il Mediterraneo. Le otarie vivono nei mari freddi dell’America meridionale, lungo le coste della California e dell’Alaska (USA), nel mare delle isole Aleutine (tra Alaska e Russia), lungo le coste africane e sudafricane ma anche a Sud e Sud-Est dell’Australia. Clara Mainetti

alcuni individui rimangono semplicemente con il loro partner o in un piccolo gruppo formato da tre o quattro adulti. I leoni marini sono animali 21


10 1.

IL PIANETA BLU

Nel 1968 Bill Anders a bordo dell’Apollo 8 in volo intorno alla luna scatto una meravigliosa foto di un pianeta che sorgeva nel buio dello spazio: una piccola sfera color blu. Ebbene, quel pianeta era la nostra terra! La superficie del nostro pianeta, infatti, è ricoperta da più del 70% dagli oceani che occupano un volume di circa 1,38 miliardi di chilometri cubi. Il grande “oceano mondiale” è suddiviso per comodità in 5 oceani e in altri mari più piccoli tutti connessi tra loro: l’oceano Atlantico, Indiano, Pacifico, Artico, Antartico e il Mar Mediterraneo, Mar dei Caraibi, Mar Baltico, Mar della Cina e Mar del Nord. Con questi numeri, la terra si aggiudica il titolo di “Pianeta Blu”!

Gli oceani

2.

Facciamo due respiri: per il primo ringraziamo le foreste, gli alberi e le piante presenti sulla terra; per il secondo dobbiamo ringraziare il mare. Così come avviene nelle piante terrestri, anche le alghe e le piante acquatiche effettuano la fotosintesi! Queste, sviluppandosi nella zona fotica (dove penetra la luce del sole), sfruttano la radiazione luminosa e la CO2 presente in atmosfera per produrre sostanze organiche. Il risultato di questo fenomeno è da una parte la produzione di nutrienti per gli animali che popolano gli oceani e dall’altra, come sostanza di scarto, la produzione di ossigeno. Gli oceani e le alghe sono così responsabili del 70% dell’ossigeno che respiriamo!

2. 22

IL SECONDO POLMONE

IL SECONDO POLMONE


RUBRICA

3.

MA QUANTA VITA!

C’è chi dice che conosciamo meglio la superfice di Marte che il nostro mare. Esplorare gli abissi non è infatti molto semplice se consideriamo la loro vastità e le elevate pressioni che si raggiungono a grandi profondità. Gli oceani pullulano di vita in tutte le loro porzioni: dagli strati più superficiali al fondale. Attualmente sono state descritte circa 250 mila specie marine ma dalle stime più recenti risulterebbero ancora da descrivere il 91% delle forme di vita di questi ecosistemi. Un dato positivo è che le nostre conoscenze stanno aumentando e raggiungendo i punti più remoti del mare si arrivano a descrivere ogni anno 2000 nuove specie acquatiche!

4.

VS I CAMBIAMENTI CLIMATICI

Paladini nella lotta contro i cambiamenti climatici sono proprio gli oceani che da una parte assorbono il calore presente in atmosfera, si stima che fino ad ora abbiano assorbito il 95% dell’energia termica in eccesso, e dall’altra trattengono la Co2 risultante dalle eccessive emissioni prodotte dall’uomo (fino al 40% della Co2 emessa ogni anno viene disciolta nel mare). Così gli oceani fungono da veri e propri serbatoi e vanno a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Purtroppo, però, anche il nostro eroe ha i suoi limiti: l’aumento delle temperature e l’acidificazione degli oceani (dovuta alle ingenti quantità di Co2 disciolte) stanno portando alla scomparsa di tantissime forme di vita e alla distruzione di molti ecosistemi marini. Pensiamo, ad esempio, alle barriere coralline che lentamente stanno abbandonando i meravigliosi colori accesi a cui siamo abituati per diventare bianche e così morire.

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5.

FORESTE OCEANICHE

Come i boschi sulla terra, anche sui fondali rocciosi delle zone costiere degli oceani temperati e polari, crescono foreste altissime e ricche di biodiversità. Non alberi ma alghe giganti, in particolare del genere Macrocystis e comunemente chiamate Kelp, si sviluppano con steli alti molti metri. Per raggiungere la luce necessaria per fare fotosintesi, gli steli di queste alghe sono cavi e pieni di gas. Ogni giorno crescono anche di sessanta centimetri, come certi bambù sulla terra, ed hanno un ruolo fondamentale nel rallentare i venti sottomarini, dare ossigeno alle acque e all’aria e offrire rifugio e cibo a molti animali.

6.

L’ORIGINE DELLA VITA

E come se non bastasse è nel mare che tutto ha avuto inizio...4 miliardi e mezzo di anni fa, quando la terra iniziò a raffreddarsi e l’acqua poté trovarsi diffusa allo stato liquido si crearono gli oceani: mari salati ma altamente tossici in cui ha avuto inizio il processo evolutivo delle varie forme viventi. L’acqua ha rappresentato il primo elemento fondamentale per l’origine della vita e ben presto al suo interno si verificarono le condizioni necessarie per la formazione del secondo elemento: l’accumulo di acidi nucleici e proteine. E poi arrivarono quegli organismi in grado di fare fotosintesi che arricchendo l’atmosfera di ossigeno permisero l’arrivo della vita sulla terra ferma. 24

7.

SOS INQUINANTI

A soffocare i nostri oceani non bastano le 12,7 milioni di tonnellate di plastica che ogni anno arrivano nelle acque del mare ma ci pensano anche i concimi, i pesticidi, gli idrocarburi e le sostanze chimiche che in un cocktail di veleni mettono a dura prova i nostri mari. I concimi, ad esempio, favoriscono la crescita di alghe nel processo di eutrofizzazione che, consumando l'ossigeno presente nell'acqua, provocano la morte di numerose forme di vita. Fino agli anni 70 gli oceani sono stati considerati delle discariche a cielo aperto, distese abbastanza grandi in cui le sostanze chimiche si sarebbero dovute disciogliere e diventare innocue. Ma la realtà è che nulla di quello che buttiamo in mare sparisce, anzi, ritorna dall’uomo spesso attraverso la catena alimentare, nel cibo che mettiamo sulle nostre tavole!


RUBRICA

8.

UN MARE DI RISORSE

Una risorsa valutata 21 miliardi di dollari ma il cui valore è in realtà inestimabile. Ci basti pensare a tutti quei servizi che gli oceani ci forniscono quotidianamente: dal benessere alla salute dell’uomo, dall’aria e al cibo che mangiamo, dai materiali alle fonti per nuovi farmaci e prodotti, dalla cultura alle tradizioni, dagli effetti mitigatori sul clima all’energia. Servizi e risorse definiti rinnovabili e teoricamente inesauribili se sfruttati in maniera sostenibile. Immaginate che più della metà della popolazione mondiale vive dei prodotti forniti dagli oceani ed è per questo che risulta necessario tutelare queste risorse e riuscire a garantire lo stesso sostentamento alle generazioni future.

9.

10.

BLUE MIND

Quante volte stando al mare, passeggiando lungo la costa o osservandolo anche solo in foto vi siete sentiti rilassati, felici e pieni di energie? Queste sensazioni di benessere non sono un caso: da numerosi studi è emerso che proprio il mare è in grado di stimolare la produzione di dopamina, serotonina e ossitocina, ovvero i cosiddetti ormoni della felicità. Inoltre, sembra che la vicinanza con l'acqua aumenta la calma e diminuisce l'ansia, migliora le proprie prestazioni, amplia la creatività e migliora la salute. Non c’è da stupirsi, quindi, se l’80% della popolazione mondiale ha scelto di vivere vicino all’acqua!!

PIÙ IN ALTO (BASSO) DELL’EVEREST!

Nella porzione Nord Occidentale del Pacifico è presente il punto più profondo di tutti gli oceani. Nelle fosse delle Marianne si scende per 11 mila metri sotto il livello del mare. Il monte Everest con i suoi 8848 metri, potrebbe essere comodamente alloggiato all’interno di questo abisso! P.S. Anche lì è arrivata la plastica! Francesca Santacesaria

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WonderFull Lungo le 7 coste italiane

“Avvicinare e sensibilizzare il grande pubblico sui temi di sostenibilità e responsabilità nei confronti dell’ambiente e delle risorse a nostra disposizione” Questo è quello che si propone il progetto “WonderFull – Le 7 coste d’Italia” promosso dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e IRSA (Istituto di Ricerca sulle Acque). Un progetto globale che ha avuto inizio il 31 Maggio 2019 con partenza da La Spezia e che ha come obiettivo quello di percorrere, in circa 50 giorni, le 7 coste italiane, per documentare il territorio e le aree protette e per sensibilizzare il grande pubblico sulle problematiche ambientali. Con l’interesse del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il progetto vedrà coinvolte le più alte cariche istituzionali in ambito di ricerca, in collaborazione con le Forze 26

Armate, l’Università degli studi di Bari Aldo Moro, ARPA Puglia, Fondazione Città della Speranza. Tali temi sono gli stessi perseguiti ormai da oltre dieci anni dalla Jonian Dolphin Conservation, che ha partecipato attivamente all’iniziativa con scopo di dare un contributo significativo ai fini del progetto. In data 8 Giugno 2019 abbiamo avuto a bordo della nostra imbarcazione da ricerca “Il porto di Taranto” i ricercatori di ARPA Puglia, con l’obiettivo di documentare e monitorare lo stato di salute delle acque pugliesi.


Utilizzo della sonda multiparametrica

JDC NEWS

La JDC ad appuntamento imperdibile! Campionamento con la “Bottiglia di Niskin”

Campionamento con il retino fitoplanctonico

Le indagini effettuate a largo di Porto Cesareo rappresentano tasselli, con i quali è possibile definire un quadro generale sullo stato di salute del mare. La partecipazione della JDC al progetto è volta al recupero di informazioni fondamentali che possano garantire l’utilizzo sostenibile delle risorse del mare e la tutela degli ecosistemi ad esso associati. Roberto Crugliano

In un anniversario importante, quello dei 50 anni, non potevamo mancare all’appuntamento della società italiana di biologia marina (SIBM) che si è tenuto a Livorno dal 10 al 14 giugno. La citizen science è lo strumento fondamentale per portare avanti la ricerca ma è altrettanto importante presentare i risultati dei nostri studi alla comunità scientifica. L’obiettivo delle nostre ricerche è quello di aumentare le conoscenze che si hanno sui cetacei, sulla loro distribuzione e abbondanza nel nostro Golfo ed il confronto con altri enti di ricerca ed istituzioni del territorio italiano ci permette di avere un’idea più chiara sulle misure da attuare per la loro tutela. In questa occasione abbiamo presentato 3 lavori importanti. Nel primo si approfondisce l’interazione tra i delfini e i pescatori andando a studiare eventuali ferite e mutilazioni presenti sui delfini. Nel secondo, testimoniamo per la prima volta la presenza del delfino comune nelle nostre acque. Ed infine nel terzo, realizzato dal CNR-STIIMA, presentiamo il nuovo algoritmo per la foto-identificazione dei grampi, aprendo le porte alle nuove tecnologie per lo studio dei cetacei. Francesca Santacesaria

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La posta dei lettori Qualche giorno fa i miei genitori sono stati a Taranto con i ragazzi della Jonian Dolphin Conservation. Li avevo avvertiti che sarebbe stata una giornata fuori dal comune e ricca di sorprese. E infatti così è stato, a giudicare dal sorriso con cui sono tornati a casa. Arrivati a Taranto e saliti a bordo della Extraordinaria, uno dei due catamarani utilizzati per la ricerca, si sono allontanati dalla costa tarantina e hanno avvistato i Grampi, oltre che una piccola tartaruga marina e la pinna dorsale di un Pesce Luna. A fine escursione li ho chiamati e, nella voce di mia madre, riconoscevo lo stupore e l'entusiasmo: "Ele, è incredibile vedere tutto questo, qui, vicino casa!". Incredibile, proprio così. Quando qualche anno fa mi presentarono questa realtà, anche io stentavo a crederci. I delfini? A Taranto? Le tartarughe? Le uniche che avevo visto fino ad allora erano quelle che vendono alle fiere di paese o quelle immortali del parco due giugno. Poi però ho realizzato che è tutto vero, che abbiamo una ricchezza infinita nella nostra terra e spesso non ce ne rendiamo conto. Ho visto tornare a casa i miei genitori 28

più consapevoli, contenti, entusiasti, ancora meravigliati.

E sentendo tutto questo nel loro racconto, ho capito una cosa. Ho capito che ho raggiunto una piccola vittoria personale, perché sono riuscita a trasmettere loro qualcosa che altre persone un po' di tempo fa hanno trasmesso a me. Oggi io sono più consapevole di ciò che mi circonda e insieme a me lo sono i miei genitori e così come la mia famiglia ha fatto questo passo avanti, lo possono fare tutti. Guardatevi intorno, siate curiosi, diffondete la voce. Siamo gli uni la forza motrice della conoscenza degli altri.

Eleonora Davide


SPAZIO APERTO

FOTO RACCONTACI Immergersi nella natura. Esplorare, con rispetto, per comprendere. Osservare il mondo con occhio più attento. Entrare a stretto contatto con i delfini, animali simbolo per eccellenza di libertà. Questo è quello che i nostri lettori-voi– avete vissuto a bordo dei nostri catamarani e che ci avete raccontato con queste foto. Per partecipare inviate le vostro foto all’indirizzo mail: lia@joniandolphin.it

Ph: Federica Sottile

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1 Eleonora Davide

2e3 Marco Cacace

4e5 Oscar Giannuzzo

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